La Giornata Europea del Mare 2023, incentrata su “tutela del mare e legge SalvaMare”, organizzata a Taranto dalla Fondazione Michelagnoli in collaborazione con la Camera di Commercio, ha offerto l’occasione per approfondire, con l’intervento di Giuseppina Tantillo, docente di Sicurezza alimentare all’Università di Bari, il tema della rimozione di plastica e microplastica dai nostri mari.
Le tonnellate di plastica presenti in mare sono ormai troppe. Ogni giorno nei mari italiani finiscono circa 90 tonnellate di plastica e questa enorme quantità provoca un danno ecologico che si traduce in danni economici al turismo, alla pesca e al trasporto marittimo.
Già nel 2018, ancor prima della legge SalvaMare, la Commissione Europea aveva annunciato l’adozione di una Strategia sulla plastica nell’economia circolare, con l’obiettivo di ridurre significativamente i rifiuti marini e sviluppare soluzioni innovative per impedire a plastiche e microplastiche di raggiungere i mari.
La quantità di rifiuti di plastica generati ogni anno è imputabile anche alla crescente diffusione dei prodotti di plastica monouso e l’Unione Europea è già intervenuta stabilendo l'obbligo per gli Stati Membri di adottare misure per bloccarne la produzione e la commercializzazione.
I rifiuti di plastica si degradano in microplastiche, piccoli frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm, facilmente ingerite dalla fauna marina.
Occorre però fare una distinzione tra le microplastiche secondarie, che nascono dalla degradazione della plastica, da quelle primarie, che nascono come tali, anzi come nanoplastiche.
La microplastica primaria è quella intenzionalmente aggiunta a determinate categorie di prodotti (ad esempio, prodotti cosmetici, detergenti, vernici), o è generata dall'usura o dal logoramento di prodotti quali pneumatici, vernici e indumenti sintetici.
La microplastica aggiunta intenzionalmente ai prodotti rappresenta una percentuale relativamente ridotta di tutta la microplastica presente nei mari e tuttavia diversi paesi hanno già adottato misure restrittive così come, di propria iniziativa, l'industria dei cosmetici.
Una economia che guarda alla tutela dell’ambiente non deve più produrre microplastiche e tantomeno nanoplastiche che nuociono molto alla salute dell’uomo.


Siamo esposti a micro e nanoplastiche attraverso l’alimentazione perché il 15%-20% delle specie marine che mangiamo sono certamente contaminate; attraverso l’inalazione perché esposti al particolato atmosferico e attraverso l’assorbimento cutaneo per via dei prodotti per la cura del corpo e per il trucco. Tutto ciò può causare danni al DNA, danni cellulari e infiammazioni.
Numerosi studi scientifici confermano la presenza di microplastiche nel nostro organismo, gli effetti tossici e le implicazioni sulla salute umana (*). Sicuramente le microplastiche assorbono su di loro tutta una serie di sostanze tossiche presenti nell’ambiente: diossine, metalli pesanti, pca e pcb. Le microplastiche infatti hanno una struttura porosa in grado di attirare sostanze nocive come i metalli pesanti che ne amplificano la tossicità e sono sicuramente più dannose per il nostro corpo rispetto alla plastica ordinaria, perchè contemporaneamente alla tossicità base delle plastiche ingeriamo anche le sostanze dichiarate tossiche.
Un gruppo internazionale di scienziate e scienziati guidate dall’Osservatorio dell’università di Boston, dalla Minderoo Foundation australiana e dal Centre Scientifique di Monaco, ha redatto uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Global Public Health e diffuso a Monaco durante la Monaco Ocean Week.
Lo studio esamina in modo esaustivo l'impatto delle materie plastiche sulla salute e il benessere umano, sull'ambiente globale, in particolare gli oceani; sull’economia e sulle popolazioni vulnerabili - i poveri, le minoranze e i bambini del mondo e offre raccomandazioni basate su dati scientifici, volte a sostenere lo sviluppo di un Trattato globale sulla plastica, a protezione della salute umana.
Lo studio è importante perché tratta il tema della salute pubblica globale come di bene comune, parlando di micro e nanoplastiche.
COME POSSIAMO FARE PER PROTEGGERE LA SALUTE DELL’UOMO E DEL MARE?
Esistono tecnologie per contrastare efficacemente l’accumulo di rifiuti di plastica già prodotti e dispersi nei mari e negli oceani? Iniziamo col dire che esistono plastiche che galleggiano e plastiche che affondano nell'acqua di mare, perché degradate e usurate ed esistono anche le microplastiche invisibili. Ci sono perciò attrezzature, tipicamente drone, e progetti diversi per contrastare i rifiuti di plastica.
Esistono gli acqua-drone che aspirano i rifiuti galleggianti dall'acqua, si ricaricano da soli, e ripuliscono fino a 200 litri di rifiuti in una singola corsa, come il waste shark, e i pixie drone telecomandati che esplorano l’acqua a caccia di plastiche.
Il drone acquatico, noto come WasteShark, è in grado di ripulire autonomamente porti e acque interne ed eliminare e riportare a terra, in modo sicuro e autonomo, rifiuti, detriti o biomassa. I droni acquatici sono in grado di lavorare collettivamente per operare in sciami auto-organizzanti. Dotato di sensori può raccogliere dati sull'ambiente durante la raccolta dei rifiuti e identificare le zone di intervento; possono quindi essere usati allo scopo di creare modelli predittivi del punto di accumulo dei rifiuti in acqua.
Pixie Drone è il nome di un drone marino galleggiante, controllato a distanza tramite un telecomando e capace di identificare e raccogliere plastica, vetro, gomma e molto altro in un raggio di 500 metri.
Dotato di videocamera capace di effettuare riprese fino a 300 metri di distanza ha un’autonomia di 6 ore e può raccogliere fino a 60 chilogrammi di rifiuti.
Seabin è un cestino di raccolta dei rifiuti che galleggia a pelo d’acqua. Viene installato nei “punti di accumulo” dove i venti e le correnti tendono a far depositare i detriti galleggianti, comprese le microplastiche e le microfibre. Grazie all’azione spontanea del vento, delle correnti e alla posizione strategica del cestino, i detriti sono convogliati direttamente all’interno del dispositivo. I rifiuti vengono catturati nella borsa, che può contenere fino a un massimo di 20kg, mentre una piccola pompa espelle l'acqua filtrata che torna in mare. Quando la borsa è piena, viene svuotata e pulita. Può funzionare 24 ore al giorno e quindi è in grado di rimuovere molta più spazzatura di una persona dotata di una rete per la raccolta. Il dispositivo risulta straordinariamente efficace in aree come i porti, darsene e anse fluviali poiché sono naturali “punti di accumulo”, in cui convergono la maggior parte dei rifiuti in mare. Necessita di interventi di svuotamento e pulizia.



Ci sono infine i microrobot, piccoli pesci robot che "mangiano" le microplastiche che incontrano nell'acqua. Sviluppato da ricercatori cinesi, il minuscolo pesce robot, che misura solo mezzo pollice di lunghezza, “muove” il suo corpo, di materiale biocompatibile, e “sbatte” le pinne caudali per spostarsi nell’acqua. Le microplastiche che galleggiano nelle vicinanze si attaccano alla sua superficie perché le sostanze e i metalli pesanti di cui sono composte, vengono attratti dai materiali con cui è realizzato il pesciolino robot. Non ha una fonte di alimentazione, ma si muove grazie a rapidi impulsi dati da un laser a infrarossi nella coda, facendola muovere a destra e sinistra. Mentre si muove, sia in acque superficiali che a livelli più profondi, attrae le molecole che si trovano sulle microplastiche facendole aderire al corpo.
Numerosi sono i progetti di ricerca per lo sviluppo di prodotti innovativi e sostenibili per la rimozione dell’inquinamento marino e costiero di microplastiche.
Tra i più interessanti l’innovativo progetto di ricerca europea GoJelly, coordinato dal GEOMAR Helmholtz Center for Ocean Research, in Germania e al quale collaborano il CNR-ISPA di Lecce, e i ricercatori Norvegesi del Centro di Ricerca SINTEF e dell’Università di Scienze e Tecnologia.
ll progetto propone di trasformare le meduse in una preziosa risorsa per la produzione di filtri per microplastiche. L’idea nasce dalla scoperta che il muco delle meduse può intrappolare e assorbire le nanoparticelle. Un biofiltro sviluppato dal muco prodotto dalle meduse potrà essere utilizzato negli impianti di trattamento delle acque per impedire alle particelle di plastica di entrare in mare.
Identificate le specie di meduse che producono più muco, il progetto guiderà la raccolta e coltivazione di quelle meduse per fornire il materiale di ricerca. Gli studi sulla biomassa delle meduse continueranno per utilizzare le meduse anche per alimenti umani, mangimi, fertilizzanti e cosmetici.
C’è inoltre il progetto Olandese Ocean Cleanup mirato invece a sviluppare un galleggiante a ferro di cavallo lungo 600 metri per la rimozione di materiale plastico accumulato nell’isola galleggiante più estesa del pianeta.
L’inquinamento più insidioso è però quello da microplastiche invisibili, le nanoplastiche di dimensioni inferiori a 1 µm (1 millesimo di millimetro).
Le nanoplastiche sono generate da meccanismi di ulteriore degradazione delle microplastiche in ambiente naturale, sia per la biodegradazione prodotta da enzimi extracellulari che per processi diversi di non-biodegradazione, dovuti a degradazione termica, fisica, fotodegradazione, degradazione termo-ossidativa e idrolisi.
L’impatto delle nanoplastiche sulla salute umana, ancora poco conosciuto perchè mancano studi approfonditi, sembra essere quello di rallentare la progressione di crescita delle cellule.
Un progetto irlandese infine propone di sfruttare il processo di polarizzazione di un liquido sottoposto a campo magnetico (il cosiddetto ferrofluido) per catturare fino all’85% di frammenti microscopici di plastica.
Contrastare l'inquinamento da plastica è dunque un problema complesso.
Occorre trovare soluzioni in grado di generare meno rifiuti o di ridurne l'abbandono nell'ambiente e nel contempo creare una nuova economia della plastica, in cui la progettazione e la produzione di questo materiale e dei suoi prodotti rispondano pienamente alle esigenze di riutilizzo e riciclaggio.
(*) Gallo F., et al. Marine litter plastics and microplastics and their toxic chemicals components: the need for urgent preventive measures. Environ. Sci. Eur. 2018;30(1):13.
Elizalde-Velázquez G.A., Gómez-Oliván L.M. Microplastics in aquatic environments: a review on occurrence, distribution, toxic effects, and implications for human health. Sci. Total Environ. 2021;780
Microplastics in water systems: A review of their impacts on the environment and their potential hazards Homin Kye, Jiyoon Kim, Seonghyeon Ju, Junho Lee, Chaehwi Lim, Yeojoon Yoon Heliyon. 2023 Mar; 9(3): e14359. Published online 2023 Mar 7.