L’allarmante riduzione del Paracentrotus lividus o riccio di mare è una triste realtà dovuta soprattutto a una pesca eccessiva e indiscriminata, propensa a soddisfare la sempre crescente richiesta del mercato, al presumibile riscaldamento globale che sta determinando un innalzamento della temperatura media delle nostre acque, e alle ondate di calore che cominciano a presentarsi ormai con sempre maggiore frequenza e durata.
L'aumento della temperatura dell'acqua di mare legato ai cambiamenti climatici è una delle principali minacce alla biodiversità marina. Il Mediterraneo definito “Mare Chiuso” diventa per il P. lividus l'area più calda del suo areale di distribuzione.
Alcuni sondaggi in Israele hanno mostrato che questa specie, molto comune sulla costa israeliana negli anni 70, è oggi estremamente rara e che la causa principale del suo declino non è attribuibile alla raccolta eccessiva come avviene altrove, poichè non esiste una pesca commerciale.
Nel ricercarne le cause i biologi marini israeliani, dopo aver escluso tutta una serie di altri fattori di mortalità, hanno concluso che specialmente la temperatura del mare, al di sopra della tolleranza termica di questa specie, potrebbe aver contribuito alla quasi estinzione dei ricci nella regione.
La temperatura di sopravvivenza in cui vivono i ricci ha un range che varia da 10 °C a 28 °C circa. Temperature superiori risulterebbero inadeguate impedendone la crescita e fatali per la loro sopravvivenza.


Tuttavia è ancora presto per parlare di resilienza dei ricci ai cambiamenti climatici.
Di fatto nelle nostre regioni il declino del riccio si deve maggiormente alla pesca incontrollata e all’inquinamento dei suoi habitat.
Il sovrasfruttamento non più sostenibile è sicuramente da addebitare alle tradizioni gastronomiche particolarmente sentite lungo le coste pugliesi, ma anche in altre regioni come la Campania, Sicilia e Sardegna e nella maggior parte dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Tra le numerose specie presenti nel Mediterraneo la più prelibata è il P. lividus, chiamato, erroneamente, “riccio femmina” - dalla colorazione con sfumature violacee, marroni o verdastre a seconda delle aree di prelievo - perché possiede gonadi più grosse e gustose, rispetto a quelle del “riccio maschio” la Arbacia lixula - di colore nero - appartenente ad un’altra specie, non considerata commestibile.
Le gonadi del P. lividus sono la parte edibile del riccio, (detta anche la polpa di riccio), presente sia nel sesso maschile che femminile.


La pesca dei ricci è soggetta a specifiche normative:
- un fermo biologico per i mesi di maggio e giugno con divieto assoluto di prelievo di qualsiasi soggetto,
- un limite giornaliero di raccolta di non più di 1.000 esemplari per il pescatore professionista e non più di 50 per l’amatoriale,
- una taglia minima di cattura non inferiore a 7 centimetri di diametro, aculei compresi.
Purtroppo il fermo biologico di due mesi sembra non essere più sufficiente per la completa ricostituzione dello stock con i fondali marini che subiscono di anno in anno uno sfruttamento non più recuperato dalla natura e che sta portando ad un irreversibile crollo della risorsa.
Così da più parti si sta cercando di ricorrere ai ripari.
Per favorirne il ripopolamento già la Regione Sardegna ha decretato di sospendere per almeno tre anni la pesca dei ricci di mare e altrettanto si propone di fare la Regione Puglia.
In alcune nostre Università si lavora sull’echinocoltura, conducendo delle sperimentazioni che permetteranno di riprodurre e allevare il P.lividus.
In particolare il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari già nel 2012 ha sviluppato un progetto pilota per la "Tutela e Riproduzione del Riccio di Mare (Paracentrotus lividus) specie innovativa per l’acquacoltura” ripreso nel 2022 con l’obiettivo di migliorare l’allevamento, la qualità della parte edibile (le gonadi) e una alimentazione adeguata, allo scopo di definire protocolli operativi trasferibili nelle pratiche di acquacoltura.

Altro progetto ambitissimo è quello mirato a migliorare la conservabilità del seme di riccio a breve e medio termine, al suo congelamento per una conservabilità a lungo termine, al fine di avere sempre a disposizione del seme per la riproduzione e alla conservazione del suo genotipo delle specie autoctone.
Da questo breve articolo si può evincere come l’echinocoltura, prima di entrare a regime, richiederà ancora una valutazione più ampia sia sulla qualità del prodotto finale, che sulla sostenibilità economica.
Nelle more dell’attuazione della legge regionale di sospensione per tre anni della pesca dei ricci di mare in Puglia, è bene attenerci a un prelievo responsabile e consapevole.