I certificati di "malato grave" per il "Mare" sono sempre più frequenti e sono ormai il risultato unanime ed univoco di ricerche approfondite di tutte le organizzazioni che, per motivi vari, si interessano al problema. Un malato particolarmente grave è il Mediterraneo per il quale, nel corrente anno 1995, l'autorevole periodico "New Scientist" ha emesso uno spietato "certificato di morte", qualora non si corra subito ai ripari; e sono ormai decenni che si lanciano questi segnali sempre più preoccupanti.
Convinciamoci che la situazione è realmente grave. La vita nel mare si sta spegnendo; e dalla vita del mare dipende quella del nostro pianeta. La tutela del mare va perseguita nel contesto generale della tutela dell'ambiente; problema tecnico e scientifico, ma fondamentalmente etico, politico e comportamentale, di carattere universale, da affrontare con saggezza, equilibrio, e amore per la vita e per le future generazioni, con sommo rispetto per il Creato.
Negli anni settanta l'ONU è stato sollecitato a prendere coscienza del pericolo del degrado ambientale ed a farsi promotore di una strategia della sopravvivenza dell'Umanità ma non è riuscito a raggiungere accordi operativi validi e determinati. La risposta delle Nazioni è stata l'incremento di "inviti" a prendere coscienza, di "convocazioni" di responsabili governativi, di "incontri" internazionali, di "elaborazioni di saggi documenti programmatici".
Nel 1992, durante la conferenza di Rio de Janeiro, i responsabili delle 172 nazioni dell'Onu hanno concordato che il problema ambientale costituisce il "problema numero uno dell'umanità" ma non hanno saputo o potuto prendere decisioni impegnative sui provvedimenti da adottare con una valenza globale e non certo nazionale. Anche nelle riunioni di vertice dei sette Paesi più industrializzati del mondo, al problema ambientale è stato riconosciuto un valore di primaria importanza, ma non è stato preso alcun impegno operativo. Possiamo dire che si è avuto un timido progresso culturale e di presa di coscienza, ma il degrado che si produce corre più veloce dei risultati delle cure che si adottano.
E ciò che più disorienta è che le tecnologie per porre rimedio e per invertire la tendenza diabolica dell'autodistruzione sono note ed efficaci: sono le tecnologie che perseguono lo sviluppo coniugabile con la salvaguardia dell'ambiente, felicemente definito "sviluppo sostenibile" oppure "sviluppo etico"(ossia sviluppo guidato dall'etica del rispetto dell'ambiente). La soluzione del problema, di tutti i problemi, è essenzialmente di carattere etico e comportamentale; e riguarda ogni uomo, ogni comunità, ogni Governo.
Appare pertanto opportuno riportare quella che è considerata la più bella e la più profonda dichiarazione mai fatta sull'ambiente, una dichiarazione che possiamo definire di etica: la risposta del capo indiano "Seattle" all'offerta avanzata nel 1854 (oltre 140 anni orsono!) dal "grande capo bianco" di Washington (il Presidente degli Stati Uniti, Franklin Pierce del New Hampshire) di acquistare una parte del territorio indiano, promettendo di istituirvi una "riserva per il pellerossa". La lettura di questo messaggio non può che scuotere la ragione ed il cuore di tutti coloro che avranno la pazienza e la fortuna di leggerlo. Il testo è stato fornito dal Prof. Mario Pavan, Presidente del Comitato Nazionale ed Internazionale Organizzatore per l'Anno Europeo per la Conservazione della Natura (AECN 1995).
"Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L'idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua sotto il sole, come potete chiederci di acquistarli? Ogni zolla di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni ago lucente di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che scorre nel cavo degli alberi reca con sè il ricordo del pellerossa. I morti dell'uomo bianco dimenticano il loro paese natale quando errabondano tra gli spazi siderali. I nostri morti non dimenticano mai questa terra magnifica, perchè essa è la madre del pellerossa. Siamo parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli; il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli; le creste rocciose, l'armonia dei prati, il calore dei "ponies" e l'uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.
Per questo, quando il Grande Capo Bianco di Washington ci manda a dire che vuole acquistare la nostra terra, ci chiede una grossa parte di noi. Il Grande Capo ci manda a dire che ci riserverà uno spazio ove muoverci affinchè si possa vivere confortevolmente fra noi. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli. Prenderemo, dunque, in considerazione la vostra offerta, ma non sarà facile accettarla. Questa terra per noi è sacra. Quest'acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua, per noi qualcosa di immensamente più significativo: è il sangue dei nostri padri.
Qualora acconsentissimo di vendervi le nostre terre, dovrete ricordarvi che esse sono sacre, dovrete insegnare ai nostri figli che si tratta di suolo sacro e che ogni riflesso nell'acqua chiara dei laghi parla di eventi e di ricordi della vita del mio popolo. Il mormorio dell'acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nastri figli. Se vi cedessimo le nostre terre, dovrete ricordarvi, ed insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete provare per i fiumi lo stesso affetto che provereste nei confronti di un fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi.
Per lui una parte della terra è uguale all'altra, perchè è come uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della notte e carpisce alla terra quel che più gli conviene. La terra non è sua amica, anzi è una sua nemica e quando l'ha conquistata va oltre. Abbandona la tomba dei suoi avi e ciò non lo turba. Toglie la terra ai suoi figli, e ciò non lo turba. La tomba dei suoi avi, il patrimonio dei suoi figli cadono nell'oblio. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose che possano essere comprate, sfruttate, vendute come si fa con le pecore o con le pietre preziose. La sua ingordigia divorerà tutta la terra ed a lui non resterà che il deserto. Io non so. I nostri costumi sono diversi dai vostri. La vista delle vostre città fa male agli occhi del pellerossa. ma forse ciò dipende dal fatto che il pellerossa è un selvaggio e non può capire!
Non c'è un posto tranquillo nelle città dell'uomo bianco. Non esiste in esse un luogo ove sia dato percepire lo schiudersi delle gemme a primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse ciò avviene perchè io sono un selvaggio e non posso comprendere. Solo un assordante frastuono sembra giungere alle orecchie e ferire i timpani. E che gusto c'è a vivere se l'uomo non può ascoltare il grido solitario del caprimulgo o il chiacchierio delle rane attorno ad uno stagno? Io sono un pellerossa e non comprendo. L'indiano preferisce il suono dolce del vento che si slancia come una freccia sulla superficie di uno stagno, e l'odore del vento stesso reso terso dalla pioggia meridiana o profumata dal pino.
L'aria è preziosa per il pellerossa, giacchè tutte le cose condividono lo stesso soffio vitale: gli animali, gli alberi, gli uomini tutti condividono lo stesso soffio. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira è come un individuo in preda ad una lenta agonia è insensibile ai cattivi odori. Ma qualora vendessimo le nostre terre dovrete ricordarvi che l'aria per noi è preziosa, che l'aria condivide il suo soffio con tutto ciò che essa fa vivere. Il vento che diede il primo alito al nostro avo è lo stesso che raccolse il suo ultimo respiro. E qualora vi cedessimo le nostre terre voi dovrete custodirle in modo particolare, e considerarle come un luogo dove anche l'uomo bianco può andare a gustarsi il vento che reca la fraganza del prato.
Io sono un selvaggio e non conosco altro modo di vivere. Ho visto un migliaio di bisonti imputridire sulla prateria abbandonati dall'uomo bianco dopo che erano stati travolti da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non comprendo come "il cavallo di ferro" fumante possa essere più importante dei bisonti che noi uccidiamo solo per sopravvivere. Cosa sarebbe l'uomo senza animali? Se tutti gli animali sparissero, l'uomo soccomberebbe in uno stato di profonda solitudine. Poichè ciò che accade agli animali prima o poi accade all'uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovreste insegnare ai vostri figli che il suolo che calpestano è fatto delle ceneri dei nostri padri. Affinchè i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono accade alla terra, accade anche ai figli della terra.
Se gli uomini sputassero sulla terra sputerebbero su se stessi. Noi sappiamo almeno questo: non è la terra che appartiene all'uomo ma è l'uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate come i membri di una famiglia sono legati da un medesimo sangue. Tutte le cose sono legate. Tutto ciò che accade alla terra accade anche ai figli. Non è l'uomo che ha tessuto la trama della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso. Lo stesso uomo bianco, col quale il suo Dio si accompagna e dialoga familiarmente, non può sottrarsi al destino comune. Dopo tutto, forse, siamo fratelli. Vedremo. C'è una cosa che noi sappiamo e che forse l'uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è il suo stesso Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come possedete le nostre terre; ma non lo potete, Egli è il Dio degli uomini, e la sua misericordia è uguale per tutti: tanto per l'uomo bianco quanto per il pellerossa. Questa terra per lui è preziosa ed il recar danno alla terra è come disprezzare il suo Creatore. Anche i bianchi spariranno; forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate i giacigli dei vostri focolari e una notte vi ritroverete soffocati dai vostri stessi rifiuti. Per un disegno particolare del fato siete giunti a questa terra e ne siete diventati i dominatori, così come avete soggiogato il pellerossa.
Questo destino è per noi un mistero, perchè non riusciamo più a comprendere quando i bisonti vengono tutti massacrati, i cavalli selvaggi domati, gli anfratti più segreti delle foreste invasi dagli uomini, quando la vista delle colline in piena fioritura è imbruttita dai fili che parlano. Dov'è finito il bosco? Scomparso. Dov'è finita l'aquila? Scomparsa. E' la fine della vita e l'inizio della sopravvivenza".
di Carmelo Maggio