Il caso dell'isola di Pasqua
Le conseguenze drammatiche del sovrasfruttamento delle risorse naturali
Nella domenica di Pasqua (da qui il nome dell’isola) del 1772, l’olandese Jakob Roggeveen sbarcò su questa isola situata nel mezzo dell’Oceano Pacifico, a 3.600 Km dalle coste cilene. La prima cosa che Roggeveen notò, una volta aver messo piede a terra, fu la totale assenza di alberi e la presenza di una piccola popolazione indigena in precarie condizioni di salute.
Cos’era avvenuto quindi su quell’isola?
Quando alcuni coloni di origine polinesiana nel 900 dC si insediarono nell’isola, abbatterono i primi alberi per procurarsi il proprio spazio vitale, per la costruzione di abitazioni, per alimentare il fuoco, costruire imbarcazioni per la pesca e per realizzare utensili vari. In seguito però vi fu un forte incremento demografico della popolazione. Si accese una forte rivalità tra i diversi clan che si concretizzava nella realizzazione di enormi statue di pietra chiamate “moai”. Per scolpire queste opere la pietra veniva estratta presso una cava dove venivano anche realizzate le statue che poi venivano trasportate nel posto dove venivano erette su piattaforme.
Mancando gli animali da tiro, gli abitanti dell’Isola di Pasqua usarono quindi i tronchi degli alberi come una specie di rulli, sui quali facevano scivolare le statue. Per cui più statue si facevano e più alberi venivano abbattuti. Questo portò alla completa deforestazione dell’isola. Gli abitanti si ritrovarono senza più legna da ardere e fu impossibile anche costruire navi più grandi che permettessero di abbandonare l’isola. Inoltre, la scarsità delle risorse innescò violente guerre tra i clan, e Il declino fu quindi inarrestabile. Dei 30.000 abitanti che aveva avuto l’isola, si contavano solo 111 sopravvissuti.
La storia dell’Isola di Pasqua conferma come il sovrasfruttamento delle risorse naturali può portare a conseguenze drammatiche, come addirittura il declino di un’intera popolazione.