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Lo spazio costiero italiano

Lo spazio costiero italiano

Troppe volte, forse, colpevolmente, il più delle volte, l'uomo osserva i paesaggi naturali come se questi fossero entità assolute, immutabili...

1 - Premessa

Troppe volte, forse, colpevolmente, il più delle volte, l'uomo osserva i paesaggi naturali come se questi fossero entità assolute, immutabili; la maestosità delle montagne, l'immensità dei fondali marini, la dolce armonia delle colline e comunque ogni elemento fisico del paesaggio terrestre, come anche quelli biologici, la flora e la fauna, sono soggetti ad una continua evoluzione. Alcune modificazioni si manifestano solo in tempi geologici, altre in più brevi intervalli di tempo, anche osservabili a scala umana: nell'arco di pochi anni, di una stagione o nel breve volgere di qualche secondo. 

L'Italia è una Nazione con una superficie relativamente poco estesa; la grande maggior parte del suo territorio, inoltre, è occupata da catene montuose che contribuiscono a renderlo non sempre favorevole all'insediamento antropico. L'estensione delle aree montuose determina il concentramento delle attività della popolazione nelle aree collinari, in quelle di pianura e vallive che, peraltro, non sempre hanno caratteri geologici e idrologici favorevoli all'insediamento permanente; ne deriva una grossa concentrazione di centri residenziali e produttivi e, conseguentemente, un'elevata pressione antropica in aree molto piccole.

2 - Il territorio italiano: un esempio di instabilità geomorfologica

L'attuale configurazione del territorio italiano è caratterizzata dal frequente alternarsi di paesaggi di pianura, di montagna o di collina, con profonde incisioni vallive, in un'area relativamente poco estesa. Questi sono il risultato del sovrapporsi degli effetti di processi morfogenetici prodottisi negli ultimi milioni di anni; processi ancora attivi in Italia e in altre regioni dell'area mediterranea, in alcuni casi con manifestazioni parossistiche dagli effetti devastanti. Le nostre regioni montuose, in particolare le Alpi e gli Appennini, si sono modellate attraverso tempi differenti ma comunque relativamente recenti. Rocce molto antiche, formate in ambienti diversi da quelli in cui sono ora presenti, a partire da circa 60 milioni di anni fa sono state coinvolte nell'insieme dei fenomeni che danno vita ad una orogenesi: quella che proprio dalle più alte fra le catene europee prende il nome "Alpina".

E così l'ossatura di alcune delle regioni dell'attuale Italia, ad esempio della Sicilia, della Puglia, dell'Abruzzo, della Campania, del Trentino, del Veneto, o dell'area mediterranea come il Marocco, l'Algeria, la Grecia, che circa un centinaio di milioni di anni corrispondevano a piattaforme oceaniche coperte da un velo di acqua del mare della primitiva Tetide, è stata coinvolta nella collisione di due placche: quella africana e quella euroasiatica. Il movimento compressivo fra queste, reso ancor più complesso dalla formazione, supposta in atto, di nuova crosta oceanica in corrispondenza del Mar Tirreno e del Mediterraneo orientale, ha permesso il corrugamento, la traslazione, e la sovrapposizione di imponenti masse rocciose preesistenti a formare le catene montuose che dalla Sicilia raggiungono il confine nord orientale del nostro Paese.

Nel corso di queste grandi collisioni si producono sforzi enormi; quando la resistenza delle rocce non è più in grado di contrastarli, questi liberano energia determinando un sisma. Gli sforzi causano di frequente lunghe e profonde fratture lungo le quali risalgono, spesso accompagnate proprio da sismi, masse di materiale incandescente provenienti dall'interno della Terra che giunte in superficie con imponenti eruzioni danno luogo a edifici vulcanici. Agli effetti determinati dagli agenti endogeni si sovrappongono quelli degli agenti esogeni. Buona parte della penisola italiana è costituita da montagne e da colline; le acque incanalate o selvagge, i ghiacciai e il mare trovano facile preda nelle rocce dei versanti più o meno acclivi già attaccati dagli agenti atmosferici.

La facile erosione dei versanti modellati sui litotipi teneri di molte regioni italiane, che a volte si manifesta con fenomeni di denudazione dalle dimensioni imponenti e dagli effetti tragici, è peraltro favorita da altri fattori propri della regione morfoclimatica mediterranea quali le precipitazioni elevate e l'alternarsi di periodi asciutti a periodi piovosi. L'uomo quindi, seppur a volte con nobili intenti, modifica ed elimina la naturale copertura vegetale, intensifica ed approfondisce le arature o abbandona le campagne, apre cave anche nei letti di fiumi e sulle spiagge, canali artificiali e vie di comunicazione, industrializza, urbanizza ed impermeabilizza con valanghe di cemento vaste superfici, imbriglia e regima i corsi d'acqua, crea bacini artificiali ed ostacoli nella fascia costiera che alterano il normale fluire nei fiumi e lungo la costa dei materiali naturali che riforniscono le spiagge.

3 - Lo spazio costiero

L'equilibrio dello spazio costiero dipende da una serie di fattori naturali ed antropici. Occorre considerare lo spazio costiero nell'insieme complesso di quegli elementi, i bacini fluviali, le aree litoranee e il mare costiero, che da sempre hanno attirato l'attenzione dell'uomo; questo in essi ha trovato le condizioni migliori per l'insediamento permanente e per questo su di essi è più evidente la pressione antropica. I tre elementi fisiografici nella loro evoluzione sono legati da una fittissima serie di relazioni che collegano i litotipi, le forme della fascia emersa e della piattaforma continentale, i caratteri idrologici e quindi l'approvvigionamento dei sedimenti, la vegetazione, le condizioni metereologiche e marine (entità delle maree, direzione ed intensità delle onde e delle correnti marine), le popolazioni bentoniche dei fondali.

Tali relazioni già complesse naturalmente, in seguito alla urbanizzazione costiera che ha raggiunto il suo massimo negli ultimi 50 anni con il boom edilizio e turistico, ma già iniziata con il diminuire dei pericoli provenienti dal mare e la bonifica delle aree malariche, sono divenute via via più complesse. Attività umane quali la sottrazione dei depositi di spiaggia per impiego quali materiali da costruzione, la distruzione della vegetazione e della duna litorale sia in seguito a costruzione che ad emungimento della falda di acqua dolce, la subsidenza in seguito ad estrazione di fluidi quali la stessa acqua, gas e olii combustibili, la sottrazione degli apporti solidi dei fiume, la costruzione di strutture portuali o di difesa, e il dragaggio del fondo marino che elimina la barra al largo (elemento che serve a smorzare l'energia delle onde) o le colonizzazioni vegetali ed animali (che stabilizzano i fondali) hanno sovrapposto il loro effetto a quello dei fenomeni naturali.

Lo spazio costiero rappresenta la zona di connessione diretta fra la terraferma e il mare, profondamente diversi dal punto di vista fisico; è quindi il risultato del momentaneo prevalere dei processi morfogenetici, naturali o antropici, che lì, nel mare e sulla terraferma, operano a scala diversa ed in tempi differenti. Lo spazio costiero va quindi inteso come composto da una fascia litoranea emersa più o meno estesa in funzione delle caratteristiche orografiche (legata anche alle dimensioni dei bacini idrografici che su di essa insistono), e dal mare costiero esteso dalla linea di battigia sino al fondale che direttamente risente del moto ondoso.

Lo spazio costiero italiano, data la sua estensione e la sua vulnerabilità, rappresenta un'area del territorio ad alto rischio ambientale; lo è ancora di più se si considera il territorio nazionale all'interno del sistema fisico mediterraneo. In questo la discarica tossica, la chiazza di petrolio, il fusto di piombo tetraetile non trovano confini, ma un ottimo ed equo sistema di distribuzione: le correnti marine.

4 - L'inquinamento

Il Mar Mediterraneo è un mare chiuso collegato all'Oceano Atlantico dalla sola soglia di Gibilterra; il ricambio totale delle acque richiederebbe da questo strettissimo collo di bottiglia circa 100 anni. Collegamenti minori si hanno con altri due bacini peraltro anche essi di limitate estensione: con il Mar Nero attraverso i Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo, e con il Mar Rosso, attraverso l'artificiale Canale di Suez. Pur di poca importanza per quanto concerne il ricambio delle acque, questo assume grande importanza da un punto di vista biogeografico: molte specie tropicali sono state infatti introdotte nel Mar Mediterraneo da navi da lì transitate. L'Italia che rappresenta una sorta di ponte naturale fra l'Africa e l'Europa, divide il Mediterraneo in due bacini "quello occidentale, dal mare di Alboran al Tirreno, e quello orientale, dallo Jonio e il Mar Libico sino alle coste asiatiche. In questi bacini, e generalmente anche in quelli minori, si riconoscono circuiti di correnti marine che hanno andamento antiorario.

Queste distribuiscono gli inquinanti lungo tutte le coste: qualsiasi oggetto galleggiante nel Mediterraneo raggiunge prima o poi una qualsiasi costa. Questo fatto è ancora più grave se si pensa che il ricambio fra le acquee mediterranee e quelle atlantiche avviene attraverso Gibilterrra ove le correnti oceaniche scorrono in superficie; solo piccola parte dei rifiuti galleggianti può quindi da lì defluire. Le petroliere, che spesso rilasciano le acque di lavaggio durante la normale navigazione, costituiscono uno dei più grandi rischi per l'ambiente marino; l'affondamento di una di esse determinerebbe il versamento in mare di centinaia di migliaia di tonnellate di greggio. La parte galleggiante prima o poi raggiunge la costa; la parte più pesante si deposita sul fondo creando un tappeto impenetrabile alla vita. I costi elevati di gestione di questi mostri del mare fanno sì che siano ridotti al massimo i periodi di carenaggio e manutenzione; in questo modo navigano per tutti i mari del mondo petroliere vecchie ormai di decine di anni tenute insieme solo dalle incrostazioni di greggio.

Alcune zone del Mediterraneo sono state vietate alla navigazione di questi bestioni eppure pochi sanno che nello stesso Mediterraneo esistono due aree ufficiali dove si possono rilasciare legalmente le acque utilizzate per pulire le cisterne dai residui di nafta. Ma l'inquinamento più pericoloso non è quello da materiali galleggianti; purtroppo di esso, che tante vittime produce fra quelle tartarughe e quei cetacei che si nutrono di plastica scambiandola per appetitose meduse o gustosi pesci, tutti noi possiamo prendere atto passeggiando d'inverno lungo le nostre spiagge. Ben più grave è l'inquinamento da sostanze disciolte, che si rendono disponibili nella catena trofica pelagica, e da materiale particellato che raggiunge le reti trofiche che si basano sul detrito.

Appare necessario sottolineare che da secoli le acque reflue e inquinate dei paesi rivieraschi si scaricano in mare; se questo era tollerabile dall'ambiente quando esistevano solo piccoli borghi marinari, non è più ammissibile ora che sulla fascia costiera grava la pressione di grandi are urbane e quella turistica stagionale, valutabile in alcuni milioni di turisti all'anno in tutto il Mediterraneo. Raramente le aree turistiche sono collegate ad impianti di depurazione e il più delle volte vengono scaricati i liquidi in pozzi assorbenti, spesso molto prossimi alla falda dolce. Ancor più grave è pensare che a tutt'oggi le reti fognarie di alcune grandi città o di grossi insediamenti urbani scaricano direttamente in mare. Non ultime le industrie; molte di esse sono distribuite lungo le coste e i corsi d'acqua. L'aspetto forse più importante è la discarica dei rifiuti chimici: questi raggiungono il mare e la catena trofica attraverso le centinaia di corsi d'acqua che raccolgono le grosse quantità di rifiuti dei centri industriali.

Non a caso nell'ultima relazione sullo stato dell'Ambiente del Ministero dell'Ambiente, fra le aree considerate ad alto rischio ambientale sono la Val Bormida e il bacino del Lambro Olona, tutti affluenti del Po e quindi immissari dell'Adriatico ".

E poi i corsi d'acqua veicolano in mare la grossa quantità di concimi azotati, chimici, i pesticidi e gli insetticidi che gli agricoltori utilizzano per migliorare la resa dei propri fondi; ad esempio nel mare costiero pugliese il livello dei pesticidi è di 2 ordini di grandezza superiore a quelli rilevati in altre aree costiere del Mediterraneo. La pesca esercita una fortissima pressione sulla fauna marina sia per la quantità e la qualità delle flotte pescherecce (è sempre più diffusa l'utilizzazione del sonar nella ricerca dei grandi branchi di pesce pelagico e diverse sono le unità battenti bandiere non mediterranee che in questo mare operano) sia, e ciò è solo apparentemente in contrasto con quanto appena affermato, per l'utilizzazione di antichi sistemi di pesca. Sciabiche, lampare, reti da posta o addirittura l'esplosivo provocano la distruzione del fondale, l'uccisione indistinta degli esemplari adulti e di quelli giovani, che ancora non si son potuti riprodurre, e di specie non commerciabili.

Occorre ricordare quindi l'indiscriminata pesca del corallo, l'opera vandalica di quei giovani pescatori subacquei che si accontentano di centinaia di prede giovani, di piccole dimensioni, e dei pescatori da riva che arano e costellano le scogliere con decine di chilometri di lenze e chili di piombi abbandonati. All'azione dei pescatori si aggiunge quella dei turisti; le centinaia di barche a motore e persino quelle a vele sono responsabili con le loro ancore della continua aratura dei fondali ove tutto è stato scombussolato. La costruzione di porti e di aereoporti con l'immissione nel sistema mare di tonnellate di terra e di cemento fa sparire la Poseidonia oceanica, già vittima delle ancore delle navi e delle imbarcazioni da diporto. Questa si sviluppa tra gli 0 e i 40 m di profondità: è una pianta e pertanto oltre a produrre grandi quantità di ossigeno con i propri fusti e le radici contribuisce a costituire vere e proprie foreste subacquee che servono come luogo di deposizione, riproduzione e fonte di nutrimento di molte specie marine.

Queste piante sono anche particolarmente sensibili alle variazioni dei parametri ambientali quali la torbidità, la luminosità, la temperatura e la salinità. La Poseidonia oceanica come tutti i popolamenti bentici peraltro assume una importanza notevole nella difesa della fascia costiera; essa con i suoi impianti radicali costituiti da una fittissima rete di rizomi e radici tende a stabilizzare il fondo sabbioso su cui attecchisce trattenendolo. Anche le grosse masse di foglie di Poseidonia oceanica morte, frequenti sulle nostre spiaggie a ciclo vitale ultimato, dalla seconda metà di agosto in poi, contribuiscono a trattenere la sabbia e proteggere le spiagge. La loro scomparsa, e quindi anche la pulizia delle spiagge in alcuni periodi dell'anno, contribuisce, con l'eliminazione di un ostacolo, ad esaltare l'effetto del moto ondoso e ad allontanare la sabbia dalla costa in regime di riflusso.

5 - L'impatto antropico

La dinamica attuale dei litorali è influenzata solo in parte dai fenomeni evolutivi naturali; un ruolo determinante è svolto dall'uomo sia direttamente sull'ambiente costiero sia su quelli ad esso collegati. I litorali ancora nell'ottocento e nei primi anni del XX secolo mostravano una linea di riva in sensibile avanzamento; fors'anche connesso ai grandi quantitativi di materiali che il dilavamento superficiale, aiutato dall'intenso disboscamento, forniva al mare. A partire dal primo dopoguerra due gravi e poco controllati fenomeni si sono manifestati: l'urbanizzazione della fascia costiera; gli interventi nei bacini fluviali. Nel primo caso si è assistito ad un continuo flusso demografico verso la fascia costiera; la popolazione è aumentata raggiungendo nella fascia costiera la densità di 395 ab/kmq a fronte della media nazionale di 187 ab/kmq; la popolazione residente nei comuni costieri è aumentata nell'arco di circa un quarantennio, tra il 1951 e il 1991, di circa 4.5 milioni di abitanti.

Parallelamente, ed ovviamente, è aumentata la pressione fisica dovuta all'aumento delle abitazioni, prevalentemente ad uso turistico e stagionale e conseguentemente degli scarichi a mare o in falda non controllati. In alcune regioni la percentuale delle abitazioni non occupate raggiunge, rispetto alle abitazioni totali dei comuni percentuali superiori al 50% (Liguria 72.5%, Sardegna 60.4%, Calabria 61.3%). L'antropizzazione della fascia costiera si realizza su ogni fascia costiera sabbiosa secondo schemi analoghi di edificazione sul primo cordone dunare, il più vicino al mare, prelievo di inerti per costruzione dalla spiaggia, distruzione della vegetazione della fascia dunare tramite apertura di varchi per l'accesso al mare.

In questo modo la rapida erosione dei cordoni dunari determina la mancanza di contributi alla spiaggia per distruzione di uno dei principali serbatoi e per le zone di retrospiaggia più facilmente invase dalle mareggiate. Molto spesso la realizzazione di manufatti, a volte abusivi, in luogo della spiaggia, che lì si è naturalmente formata per assorbire l'energia del mare, determina l'esposizione diretta delle opere agli agenti meteomarini. Molte calamità naturali divengono tali solo grazie alla noncuranza o peggio alla sottovalutazione del rischio da parte di privati, costruttori, tecnici ed amministratori. La necessità di mettere un freno agli effetti dell'antropizzazione di queste aree, che generalmente si manifesta con sensibili arretramenti della spiaggia, è affrontata con la messa in opera di protezioni trasversali o parallele che alterano l'andamento della linea di riva originale fermando i sedimenti.

E quindi anche le opere portuali, siano esse a grande scala quali i grandi porti industriali o i più piccoli porti turistici, interrompono il naturale flusso longitudinale. In alcuni casi l'urbanizzazione riguarda tratti di costa rocciosa. Nel caso di coste rocciose basse, generalmente stabili, il fenomeno dell'urbanizzazione si manifesta con la cementazione di aree variamente estese; ciò comporta la diminuzione di quei contributi solidi alla deriva litoranea che provengono dall'abrasione esercitata dal mare e dal dilavamento meteorico. Ben più grave è la situazione delle coste rocciose alte ; la capacità erosiva del mare è contrastata o esaltata dalle caratteristiche strutturali e meccaniche della roccia, dalle caratteristiche morfologiche del primo fondale e quindi dalle caratteristiche meteomarine. La presenza di superfici prossime alla verticalità e quindi di alti fondali al piede della falesia, di un fetch esteso e di rocce poco coerenti facilitano lo scalzamento al piede.

Questo determina crolli successivi con arretramenti medi che possono essere valutati anche in alcune decine di metri all'anno. Le opere di protezione e stabilizzazione di tratti del litorale caratterizzato da falesie in rapido arretramento, spesso rese necessarie per salvaguardare insediamenti residenziali o peggio aree industriali, sortiscono effetti negativi di due tipi. Qualora l'intervento sia mirato alla protezione delle falesie con colate di cemento o con opere aderenti si sottrae il contributo solido al mare che va considerato quindi nel bilancio di massa delle spiagge interessate.

Nel caso in cui l'intervento sia eseguito con opere di difesa trasversali o parallele alla costa (pennelli o scogliere), anche aderenti, si creano ostacoli artificiali al flusso di sedimenti lungo costa con la diminuzione di apporti alle spiagge sottoflutto. Spesso le scogliere parallele determinano la parziale chiusura di bracci di mare all'interno dei quali il ricambio di acqua non è più assicurato; l'effetto finale è il ripascimento indesiderato con una ulteriore alterazione del paesaggio costiero e dell'ecosistema marino. I corsi d'acqua non sono più in grado di trasportare a mare sedimenti grossolani: sia a causa della costruzione di dighe che costituiscono sbarramento al fluire delle acque e ai sedimenti da esse trasportati; sia a causa della diminuita portata liquida dovuta all'utilizzazione delle acque per uso irriguo, potabile e idroelettrico; sia per gli interventi di protezione idrogeologica che vanno dalle opere di regimazione alle opere di difesa di sponda che in alcuni casi si sono rese necessarie a causa di errate localizzazioni di aree residenziali, industriali o di vie di comunicazione; sia per le bonifiche per colmata; sia per la pavimentazione massiccia della superficie topografica nelle aree urbane; sia per i prelievi di inerti dagli alvei a scopo edilizio. In altri casi è però doveroso riconoscere che alcuni corsi d'acqua possono aver raggiunto un punto della evoluzione morfologica tale che il sedimento da loro trasportato è troppo fino e piuttosto che essere preso in carico dalla deriva litoranea viene recapitato al largo, deponendosi nelle piane abissali, oltre lo shelf break.

6 - Variazioni del livello marino Una variabile che molto spesso si tende a trascurare nell'affrontare i temi che riguardano lo spazio costiero è l'altezza del livello del mare. Essa non è costante nel tempo ma varia in funzione dell'aumentare o del diminuire dei volumi di acqua disponibile sul pianeta; questi a loro volta variano secondo l'alternarsi di fenomeni a scala mondiale regolati dai moti millenari del pianeta: le glaciazioni. Ad una diminuzione della temperatura media sulla terra, corrisponde un aumento del volume dei ghiacci e, quindi, una diminuzione del volume delle acque; nei periodi con temperature medie più alte, i periodi interglaciali, parte delle calotte fonde con conseguente aumento dei volumi d'acqua disponibili. Attualmente viviamo un periodo interglaciale nel quale il livello del mare, dopo aver raggiunto più o meno 21.000 anni fa la profondità di circa 120 m rispetto alla posizione attuale, va innalzandosi. In base ai più recenti dati a disposizione provenienti da stazioni fisse disposte con sufficiente densità almeno nelle aree marittime dell'emisfero settentrionale, si può indicare nel valore di circa 1.5 mm/anno l'incremento medio del livello del mare.

Esso era minore alla fine del secolo scorso e pare che sia aumentato sensibilmente a partire dalla metà di questo secolo, certamente anche in relazione all'aumento della temperatura media dovuta all'effetto serra conseguente all'immissione di gas nell'atmosfera. L'innalzamento del livello del mare non è uniforme; essendo la fonte di acqua essenzialmente le calotte glaciali, ad un aumento della temperatura media mondiale corrisponde una sorta di "effetto onda" che si propaga dalle calotte all'equatore. Differenze più o meno evidenti sono quindi imputabili ad esempio all'estensione dei bacini, alle condizioni climatiche, ai movimenti epirogenetici, alla forza di gravità e alla forza centrifuga. In pratica il principio dei vasi comunicanti, a soddisfare il quale il mare tende, è contrastato da una serie di fattori condizionanti. Che il livello del mare sia tendente ad aumentare non è quindi una novità nella storia della terra; se esistono ancora dubbi sul fatto che in tempi recentissimi il mare abbia superato l'attuale posizione (più autori sostengono infatti che ciò sia avvenuto circa 6.500 anni fa in corrispondenza dell'Optimum Climatico olocenico) pare peraltro certo che 125.000 anni fa in corrispondenza del periodo intergalciale noto con il termine "Tirreniano", immediatamente precedente l'ultima glaciazione, il Würm, il mare abbia raggiunto, in una delle tre fluttuazioni riconosciute, una posizione di ben 6 metri al di sopra di quella attuale ma quelle erano fluttuazioni assolutamente naturali!

7 - La situazione delle coste italiane

La penisola italiana ha uno sviluppo costiero di circa 7.500 km; studi effettuati dal Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università "La Sapienza" di Roma indicano che di questi 4.250 km circa sono rappresentati da coste rocciose e quindi circa 3.250 km sono rappresentati da spiagge. Di queste il 32% è in erosione e solo il 5% è in accrescimento; stabile può essere considerato il 63% anche se a questa percentuale andrebbe sottratto un 10% circa corrispondente a spiagge stabili solo grazie ad opere "innaturali" di difesa. Molise e Basilicata raggiungono rispettivamente il 74% e il 67% di coste in arretramento; al contrario la Sardegna, che presenta i litorali meno artefatti da opere portuali, è la regione italiana che presenta i minori problemi erosivi. L'esame particolareggiato dello spazio costiero della penisola italiana pone in evidenza alcune situazioni che sono esemplificative della generale modificazione indotta dalle attività antropiche. Le coste del Mare Tirreno, incluse quelle della Sardegna e della Sicilia settentrionale, hanno uno sviluppo lineare di circa 3.500 km. Le spiagge rappresentano il 45% circa di tale estensione; di queste il 39% è in arretramento.

L'erosione lungo questo lato della penisola italiana è particolarmente evidente lungo tutti i delta progradanti. Il delta del fiume Arno in Toscana, che già durante il Rinascimento aveva mostrato sensibili arretramenti a causa delle estese bonifiche, presenta evidenti modificazioni a partire dalla fine del secolo scorso. Lungo la sua ala destra l'arretramento è attualmente valutato nell'ordine di circa 10m/anno. In corrispondenza della foce del fiume Magra si è potuto misurare al contrario un notevole accrescimento dell'apparato deltizio a partire dalla interruzione per legge dell'estrazione di inerti dall'alveo del fiume. Di contro le opere portuali di Marina di Carrara, ostacolando il flusso lungo costa dei sedimenti trasportati a mare dallo stesso fiume, hanno impoverito e arretrato i litorali posti a sud del porto stesso. Più tratti di litorale sono in ripascimento "artificiale" per la presenza di opere di difesa all'uopo progettate; queste, pur alleviando gli effetti erosivi sopraflutto, hanno indotto fenomeni erosivi sottoflutto.

Il Tevere, lungo la cui parte terminale, a cavallo fra gli anni trenta e quaranta, è stato costruito uno sbarramento per proteggere Roma dal rischio di alluvioni, mostra avanzamento dell'apice deltizio di poco meno di un metro. Buona parte del litorale Domitio a nord di Napoli, ove sfocia il Volturno, uno dei fiumi più inquinati d'Italia, ha la linea di riva naturale alterata dalla presenza continua per decine di chilometri di insediamenti e di approdi turistici. Le coste ioniche e quelle siciliane che si affacciano sul Canale di Sicilia hanno una estensione di circa 1.400 km. Ad eccezione delle spiagge della Calabria per le quali è documentata a partire dalla seconda metà del secolo scorso un sostanziale accresimento, o perlomeno una situazione di equilibrio, le spiagge di questo tratto della costa italiana sono pressocchè tutte in erosione. In alcune località, ad esempio nel Golfo di Taranto lungo le ampie falcate a nord e a sud di Gallipoli, il mare ha raggiunto e intaccato il piede della duna, peraltro soggetta ad intensa degradazione indotta dal fenomeno dell'abusivismo edilizio.

Lungo le coste ciottolose e sabbiose del litorale lucano, considerate in ripascimento fra la fine del secolo scorso e gli anni cinquanta, è evidente un notevole arretramento che ha raggiunto anche in questo caso il piede della duna; questo pare essere collegato alla intensa estrazione di inerti dagli alvei fluviali e dalla stessa spiaggia, nonchè all'elevato numero di bacini artificiali presenti lungo i corsi d'acqua lucani. Più preoccupante è l'erosione della spiaggia sottomarina la cui dinamica è condizionata dall'impoverimento della copertura a Poseidonia oceanica ed è sicuramente condizionata dalla vicinaza alla linea di riva delle testate dei numerosi canyons sottomarini che alimentano la profonda Valle di Taranto. Significativa è anche la situazione dei tratti di litorale roccioso.

Lì dove caratterizzati dalla presenza di litotipi poco tenaci essi presentano sensibili arretramenti; valgano ad esempio Capo Colonna, nella penisola di Crotone, ove resta solo una delle colonne doriche del tempio di Hera Lacinia e i pochi resti di grandi ville-romano imperiali, nonchè la situazione di alcune torri di avvistamento anti corsaro alto medioevali, ormai con le strutture a filo di falesia lungo i litorali salentini del Golfo di Taranto; sempre presso Taranto, infine, lungo i tratti di costa modellati nelle tenere "panchine" quaternarie, a Punta Rondinella, un villaggio neolitico è ormai per buona parte eroso dal mare, e presso Porto Perrone strutture di ville romano-imperiali sono lambite e demolite dalle mareggiate. Le coste adriatiche si sviluppano per circa 1.260 km. I litorali dell'Alto Adriatico mostrano evidenti segni di arretramento da collegare anche al diffondersi degli interventi di bonifica sulle fasce alluvionali retrostanti la duna costiera.

Di particolare interesse è la situazione del delta padano; a partire dal 1.600 circa sono iniziate opere che ne hanno condizionato sin'anche la forma naturale. Particolare importanza anche in questo caso assume il prelievo di inerti lungo il basso corso del Po: fra il 1951 e il 1980 esso ha raggiunto quantitativi pari ad alcuni decenni di apporto solido alla costa. Altre situazioni di evidente disequilibrio sono da segnalare lungo la costa abruzzese e marchigiana; lungo di essa per difendere la linea ferroviaria si è dovuto ricorrere ad opere di difesa addossate, longitudinali e trasversali, sommerse o semi sommerse, radenti, galleggianti o anche permeabili che, oltre ad aver disegnato una linea di riva quasi ovunque artificiale, molto hanno alterato gli ambienti naturali. Arretramenti significativi sono quindi da segnalare sia a nord che a sud del promontorio del Gargano a causa del diminuito apporto solido dei pur brevi corsi d'acqua appenninici. A nord-ovest del Gargano sono segnalati arretramenti delle spiagge di alcune decine di metri nell'arco di cinquant'anni. In corrispondenza della foce dell'Ofanto l'erosione ha determinato la perdita di circa 12.500 mq di spiaggia.

Le opere portuali di Margherita di Savoia di contro hanno ostacolato la deriva lungo costa, qui diretta da sud a nord, tanto che il litorale sopraflutto è avanzato di circa un paio di centinaia di metri mentre il litorale sottoflutto è sensibilmente arretrato sino a Siponto, subito a sud di Manfredonia. Sensibili fenomeni di arretramento di costa rocciosa sono da segnalare in prossimità degli abitati di Bisceglie a nord di Bari, tanto da mettere in pericolo diverse abitazioni e da far ricorrere a cementazione, e lungo i litorali di Monopoli a sud del capoluogo pugliese. Più a sud di Brindisi nei pressi della nuova centrale a carbone di Cerano, la cui falesia è protetta da dighe foranee parallele, della medioevale Torre Mattarelle costruita (ma era circa la metà del quattrocento!) in prossimità dell'orlo della falesia non resta che lo spigolo sud - orientale. Un particolare fenomeno che interessa alcune aree della fascia costiera italiana è quello della subsidenza che interessa tanto le terre emerse quanto il fondale marino. Nel Ravennate, nella bassa Padana e nella fascia costiera pisana l'abbassamento della superficie topografica, dovuto tanto alla naturale compattazione dei depositi deltizi quanto all'emungimento della falda idrica e al prelievo di gas e olii naturali, si aggiunge agli effetti di disequilibrio costiero. Nell'area di Venezia si sono registrati abbassamenti di 10 cm in quindici anni fra il '52 ed il '69; nel Ravennate di 34 cm dal '70 all'80 e fra Modena e Bologna di circa 1 m in 30 anni. Sulla fascia tirrenica è da segnalare l'abbassamento di circa 30 cm a Pisa, verso la foce dell'Arno.

8 - Conclusioni

Da quanto sin qui esposto è evidente che lo spazio costiero rappresenta un sistema fisico la cui evoluzione è condizionata da delicati equilibri geologici, morfologici, meteomarini e biologici che occorre prendere in considerazione anche in aree lontane ed apparentemente avulse dal mare. Il paeasaggio costiero per quanto vario ed articolato è costituito da elementi morfologici e biologici intimamente collegati l'uno all'altro: dagli alti fondali alla spiaggia sommersa con praterie di Poseidonia oceanica e da queste alle areee retrodunali, o ancora,


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