L'impatto sull'ambiente marino dell'inquinamento da petrolio ha sempre avuto effetti drammatici. Quando gli sversamenti sono massicci e vicino alle coste, gli effetti di tale inquinamento sono di grande evidenza. Gli uccelli e i mammiferi marini rimangono facilmente invischiati dalle masse oleose che si accumulano sulle coste o che stratificano sulla superficie del mare. Gli effetti devastanti che ha provocato la marea nera nelle isole Galapagos ha tenuto il mondo in ansia per parecchio tempo.
Non è facile stabilire la quantità di idrocarburi che si perde ogni anno in mare, tuttavia le stime di tali perdite sembra che si aggirino su una media di 4 milioni di tonnellate l'anno per tutto il pianeta e di 600.000 tonnellate per il solo Mediterraneo.
E nonostante i diversi interventi preventivi la tendenza è ad aumentare perché aumenta il traffico marittimo che dalle principali aree di produzione del greggio (Medio Oriente), conduce ai paesi importatori di petrolio come l'America, l'Europa, il Giappone e l'Australia. Gli incidenti che si verificano alle petroliere, a causa di collisioni, incendi a bordo, usura delle strutture e altro, contribuiscono all'inquinamento petrolifero annuo con una percentuale di solo il 12% e tuttavia provocano i danni maggiori. Le vie di inquinamento da petrolio, attraverso le quali gli idrocarburi raggiungono il mare, sono le più svariate e il loro indicativo apporto percentuale è riportato nel diagramma.
Al 12% dovuto agli incidenti nel trasporto marittimo, si aggiunge il 33% per operazioni sulle navi relative a carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio, scarichi di acque di sentina o perdite sistematiche, che porta al 45% l'apporto complessivo di inquinamento dovuto a perdita dalle navi. Un consistente apporto di inquinamento da petrolio, stimato al 37%, è quello che proviene da scarichi urbani e industriali, sistematici o accidentali, e perdite da raffinerie, oleodotti, depositi. Inoltre le ricadute atmosferiche di idrocarburi evaporati o parzialmente incombusti danno un apporto del 9%, sorgenti sottomarine rilasciano per trasudamento naturale un apporto del 7% e le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono per il 2%.
Il petrolio sversato si sparge sulla superficie del mare formando una pellicola che cambia di spessore e di composizione a seconda della temperatura e del movimento dell'acqua. Alla evaporazione si aggiungono processi di emulsione, aerosol, fotossidazione che portano alla formazione di una sottile pellicola superficiale e masserelle di catrame che galleggiando arrivano sotto la costa e alle spiagge. Dopo l'evaporazione dei composti volatili tossici, ha inizio l'azione di biodegradazione degli idrocarburi da parte dei microorganismi marini. Danni all'ecosistema I danni causati agli ecosistemi dagli sversamenti di petrolio dipendono da molti fattori tra cui vi sono la quantità, le caratteristiche del petrolio stesso e la sua distribuzione. Quest'ultima dipende spesso da fattori incontrollabili come i venti o le correnti. Le caratteristiche chimico-fisiche del petrolio ne determinano la tossicità. Il petrolio è costituito da un miscuglio di idrocarburi che sono suddivisi nelle seguenti classi:
Idrocarburi saturi (alcani, paraffine)
Idrocarburi insaturi (alcheni, olefine)
Idrocarburi aromatici, tra cui gli IPA (Idrocarburi aromatici policiclici)
Cicloparaffine.
A differenza degli altri idrocarburi, tutti gli idrocarburi aromatici sono tossici. In particolare gli IPA sono gli idrocarburi del petrolio più pericolosi per la vita, a causa della loro azione cancerogena. Altri fattori molto importanti sono le condizioni dell'ambiente, come la salinità, la temperatura dell'acqua e il tipo di costa. Questi fattori influiscono sugli effetti sull'habitat, ma anche sulle procedure di clean-up.
Vi sono infine le caratteristiche biologiche rappresentate cioè dagli organismi che vengono colpiti dal fenomeno. Queste caratteristiche comprendono la specie, la fase del ciclo vitale (larvale, giovanile o adulto) e la taglia. La criticità della specie è legata alle caratteristiche della stessa ma anche alla sua funzione e posizione nella catena alimentare. Gli uccelli marini sono le vittime più conosciute e più studiate negli sversamenti da petrolio. Le popolazioni di uccelli costituite dalle specie che depongono un solo uovo, come quelle del genere Uria, sono più a rischio della black duk che ne depone cinque.
Un effetto macroscopico dell'inquinamento da petrolio sugli uccelli è la distruzione dell'effetto protettivo delle barbe e delle barbule delle penne, con conseguente passaggio dell'acqua e raffreddamento del corpo degli animali.. Il piumaggio perde le sue proprietà idrorepellenti e non consente più l'isolamento termico. Questo è particolarmente grave per i climi freddi e può condurre alla morte per ipotermia. Gli uccelli provano a ripulirsi col becco ed alcune specie ci riescono meglio di altre. Tutto però dipende dalla gravità del problema.
Tuttavia così facendo ingeriscono petrolio che provoca gravi alterazioni agli organi interni. Danni meno evidenti ma non meno pericolosi sono quelli derivanti dal bioaccumulo, cioè dall'arricchimento di una sostanza negli organismi viventi per qualunque via, respirazione, ingestione di cibo, contatto.
Il bioaccumulo e la biomagnificazione, cioè l'arricchimento esponenziale di una sostanza nella catena trofica, possono portare a livelli elevati di IPA nei tessuti degli organismi. Le relative conseguenze possono essere di alterazioni della riproduzione, immunotossicità, teratogenesi, carcinogenesi, alterazioni ormonali. In ogni caso è meglio prevenire che curare.